Quando ero ragazzo, ascoltavo spesso i miei nonni che mi raccontavano le loro esperienze di vita. Tra tutte quelle storie, alcune mi sono rimaste impresse nella mente, una di queste su
tutte diceva che ai loro tempi quando una ragazza si sposava, portava con se la “dote” composta da cose al tempo preziose, lenzuola, ascigamani, oggetti preziosi e il lievito madre. Questo lievito naturale si tramandava da generazioni in generazioni, non era altro che un pezzo di pasta del pane che veniva regalato come simbolico augurio per la nuova generazione. A quel tempo non esistevano i cubetti di lievito che oggi troviamo in tutti i
supermercati.
La nuova famiglia impastava quel pezzo di pasta “madre” con nuova farina e acqua e il nuovo pane lievitava, e così si produceva il nuovo pane. Ad ogni nuovo impasto si staccava un pezzo di pasta che sarebbe servito la prossima volta. E così via per mesi, anni, decenni, di famiglia in famiglia e di generazione in generazione.
Sono sempre stato affascinato dalla lievitazione e da questa storia, chissà che anche questo non abbia influito sulla mia scelta di fare il pizzaiolo. Pensare che in quel pezzo di pasta, frutto di impasti, rimpasti e ancora rimpasti, ci siano frammenti di vita quotidiana degli anni, dei secoli passati, è incredibile. Tra tutti i granelli di farina di quell’impasto, se ne cela ancora qualcuno della nonna o della bisnonna.
Per tutte quelle persone che si sono sposate recentemente e non hanno portato con loro la “dote”, suggerisco questi pochi consigli per creare a casa vostra un nuovo ceppo di lievito madre.
Il risultato: la fragranza, il profumo, la complessità e l’articolazione aromatica, il piacere dell’autoproduzione dello stesso lievito.
Come si ottiene?
Si può fare come nelle famiglie di un tempo: staccarne un pezzo da qualcuno che lo usa, così si ha la certezza che è vivo, attivo e operativo da subito.
Ma la partenza da acqua e farina, è innegabile, è di maggior soddisfazione e permette di entrare in sintonia diretta con il lievito.
Diventerà il proprio lievito, uguale a quello di nessun altro, perché figlio di un ambiente diverso per ognuno. L’esatto opposto della standardizzazione del lievito di birra.
Provare a partire è semplice:
impastare in una tazza pulitissima 50g di acqua e 100 di farina
ottenere un impasto cremoso, umido coprirlo con un piattino, in modo che sia protetto, ma non sigillato, abbandonarlo in un luogo senza correnti d’aria e un po’ tiepido, l’ideale per me è un angolo
di un pensile di cucina. Verificare ogni giorno cosa succede: entro due o tre giorni deve dare segni di fermentazione (bolle e sollevamento, odore acido). Se non succede, diventa sempre più probabile l’apparizione di muffe e conviene riprovare da capo, magari scegliendo una farina meno raffinata.Quando lo troverai fermentato, vorrà dire che ci si sono trovati bene alcuni microorganismi, i nostri lieviti, che avranno bisogno di nutrimento.
E glielo fornirai tu: impasta l’embrione di lievito madre con altra acqua e farina fresca, per ottenere un impasto di consistenza analoga al primo e via di nuovo in scaffale.
Questo si chiama “rinfresco”.
Segui i passi precedenti ancora due o tre volte, controlla sempre che l’odore sia acidulo senza esagerazioni, che si formino bolle e che l’impasto si gonfi un po’.
Ora che il lievito naturale (o lievito madre) reagisce più rapidamente e che basta un giorno o anche meno per far rifermentare il rinfresco puoi provare a farci un primo impasto di pane.
Finché non sarai sicuro della sua efficacia, sarà meglio non usarlo per la pizza.